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Porto Empedocle: operato al Civico di Palermo il 16enne ferito in incidente stradale

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E’ stato operato A. C.,16 anni di Porto Empedocle, rimasto coinvolto questa mattina, in un bruttissimo incidente stradale, avvenuto nel pressi di contrada   Pero, a Porto Empedocle. Il ragazzo si trova ricoverato all’ospedale Civico di Palermo, arrivato poco dopo le 8,30 del mattino in elisoccorso . Il delicato intervento chirurgico è riuscito. Il giovane è uscito dal coma, anche se le sue condizioni restano gravissime e la prognosi sulla vita riservata . Per avere un quadro clinico più chiaro serviranno dalle 24 alle 48 ore. A. C., viaggiava come passeggero in sella ad uno scooter Beta, guidato da un coetaneo empedoclino, rimasto fortunatamente illeso, che si è scontrato con un Suv Land Rover, condotto da un operaio, ancora sotto choc per quanto accaduto. All’arrivo i soccorritori hanno capito che la situazione clinica del sedicenne era delicata. E’ stato fatto atterrare un elisoccorso e dopo le cure prestatigli da un medico del 118, si è deciso di trasferirlo nella struttura sanitaria palermitana. La dinamica del sinistro è al vaglio della Polizia stradale di Agrigento. I due ragazzi, che indossavano li casco a scodella, secondo quando avrebbero appurato gli agenti, stavano imboccando la traversa di contrada Pero. n quel momento è sopraggiunto il Suv che ha centrato In pieno il motorino, scaraventandoli sul selciato.


Raffadali, maltrattamenti in famiglia: chiuse indagini per marito violento

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Avviso di conclusione delle indagini preliminari per le accuse di maltrattamenti e lesioni aggravate ai danni dell’ex moglie è stato fatto notificare dal Pubblico ministero Santo Fornasier al commerciante Francesco Epifanio Tarallo, 43 anni, di Raffadali, titolare del negozio Agrimarket già finito agli arresti domiciliari lo scorso novembre per avere violato il provvedimento del giudice che gli imponeva di non avvicinarsi alla donna. Per il Pm, Tarallo avrebbe maltrattato l’ex moglie per tutta la durata del matrimonio: dieci anni. Per l’uomo è scattata anche l’accusa di ingiurie e minacce nei confronti di un parente della donna che sarebbe intervenuto in sua difesa.

 

 

Agrigento, processo “Hiram”: assolto il cancelliere Indelicato

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Un troncone dell’inchiesta Hiram, quello principale si è concluso il 18 novembre scorso, davanti la Corte di appello di Palermo che ha confermato cinque assoluzioni escludendo ogni intreccio fra Cosa Nostra e massoneria deviata, è finito davanti il Tribunale di Agrigento ed ha avuto come imputato il cancelliere della Cassazione Vincenzo Indelicato, 64 anni, di Castelvetrano. Ebbene, l’uomo è stato assolto nonostante il diverso parere della Pubblica accusa, rappresentata in aula dal sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, Maria Teresa Maligno. Indelicato per il Pm avrebbe violato il segreto d’ufficio dei pubblici dipendenti con l’aggravante dell’avere favorito Cosa Nostra e per questo ha chiesto la condanna dell’imputato a cinque anni di reclusione. Indelicato, secondo il Pm avrebbe intascato una tangente da 5000 euro per ritardare l’arresto dell’imprenditore Calogero Russello (morto successivamente) accusato di mafiosità. Il collegio penale presieduto da Luisa Turco (a latere Ermelinda Marfia e Rossella Ferraro) ha deciso per l’assoluzione.

Licata volta pagina: restituita dignità all’imprenditore Bennici ucciso dalla mafia

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L'imprenditore Salvatore BenniciLa moglie dell'imprenditore  Bennici bacia la lapideCerimonia in ricordo dell'imprenditore  BenniciCerimonia in ricordo dell'imprenditore  Bennici, pubblico e autorità presentiCerimonia in ricordo dell'imprenditore  Bennici, pubblico e autoritàCerimonia in ricordo dell'imprenditore  Bennici, il vicepresidente di Confindustria, Giuseppe Catanzaro e il Pm Salvatore VellaCerimonia in ricordo dell'imprenditore  Bennici, il vicepresidente di Confindustria e il Pm Salvatore VellaCerimonia in ricordo dell'imprenditore  Bennici, il Pm, Salvatore VellaCerimonia in ricordo dell'imprenditore  Bennici, figlio, moglie,Francesco Urso,  l'avv. CataniaÈ stato ricordato oggi a Licata (con una lapide commemorativa l’imprenditore edile Salvatore Bennici, ucciso il 25 giugno del 1994 da due sicari di Cosa nostra che gli hanno sparato a volto coperto davanti al figlio Vincenzo, bloccato con una pistola alla tempia. L’esecuzione in quello che era il cantiere edile dell’imprenditore, alla periferia del paese, in via Palma, era stata preceduta da telefonate intimidatorie e minacce: prima l’esplosione di un escavatore, poi l’incendio della porta dell’abitazione, episodi puntualmente denunciati da Bennici. Alla manifestazione, promossa dall’associazione di legalità “A testa alta”, sono intervenuti, tra gli altri, i rappresentanti delle forze dell’ordine, il segretario regionale del sindacato di polizia Coisp, Alessandro Berretta, i pubblici ministeri Salvatore Vella e Andrea Maggioni, il vice presidente regionale di Confindustria, Giuseppe Catanzaro, l’imprenditore Francesco Urso che con le sue dichiarazioni ha fatto scattare l’operazione di polizia “Ouster” e la famiglia al completo di Salvatore Bennici. Presenti anche i sindaci di Campobello di Licata, Giovanni Picone, quello di Ravanusa, Carmelo D’Angelo, il vice sindaco di Licata Angelo Cambiano, l’assessore del Comune di Palma, Agata Vinci. “La presenza dello Stato c’è, chi vuole rispettare le regole può farlo – ha detto Vella - dire che non si può denunciare è un alibi. Qui le vittime non sono soltanto i familiari ma l’economia di un territorio che deve fare delle scelte precise”.

“Mio padre è morto per il suo lavoro e perché credeva nella giustizia e nell’onestà - dice Agostino, uno dei 5 figli dell’imprenditore ucciso – È importante ricordarlo soprattutto per i giovani. Questo omicidio non ha segnato solo la mia famiglia ma la società. L’omertà non paga”. “Oggi il clima è un po’ cambiato ma c’è ancora tanto da fare”, sottolinea Vincenzo, testimone oculare del delitto. “Abbiamo avuto difficoltà persino a pubblicizzare l’iniziativa – aggiunge – quando abbiamo provato ad affiggere la locandina sulle vetrine dei commercianti di Licata, tanti l’hanno rimossa subito per paura. Mio padre è stato ucciso anche per loro, purtroppo non si vuole capire che è l’unione a fare la forza”. I pochi commercianti presenti, infatti, sono quelli legati a un rapporto di amicizia con la famiglia. A testimoniare solidarietà e sostegno di una provincia che non si piega al racket c’è l’imprenditore edile Francesco Urso, della Betonmix, che con le sue denunce ha dato il via all’inchiesta ‘Ouster’, insieme al vice presidente di Confindustria Sicilia Giuseppe Catanzaro. “Ai familiari di Bennici la collettività dovrebbe chiedere scusa, sono i pavidi che non danno un futuro ai proprio figli – ha detto Catanzaro, che ha fatto appello al consumo critico – oggi lo Stato è presente e preparato, ma occorre rendere la prevenzione un valore sociale attraverso le scelte degli stessi imprenditori: perchè non scegliere di rifornirsi, ad esempio, da chi ha denunciato?”.

“Abbiamo organizzato questa manifestazione per restituire una memoria negata a lungo – dice Antonino Catania, presidente dell’associazione ‘A testa alta’ – qui nelle denunce siamo indietro di un decennio rispetto a quanto è stato fatto nella vicina Gela e registriamo ancora una certa riluttanza da parte delle amministrazioni a costituirsi parte civile nei processi contro imputati per mafia ed estorsione. Speriamo sia un inizio per tutte le persone oneste che intendono ribellarsi ai soprusi e al condizionamento mafioso”.

Favara, omicidio Palumbo Piccionello, sentenza dice: “Baio uccise per niente”

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Il giudice Francesco Provenzano, Gup del Tribunale di Agrigento, ha depositato le motivazioni della sentenza, emessa il 15 maggio scorso, che ha sancito la condanna a 30 anni di reclusione per l’imprenditore Antonino Baio,74 anni, reo confesso dell’omicidio di Calogero Palumbo Piccionello, 67 anni, assassinato con quattro colpi di pistola, nel centro storico di Favara perché ritenuto autore di una lettera anonima che lo definiva usuraio. Pesanti le argomentazioni a sostegno della condanna: “Antonino Baio ha ucciso per niente, per motivi futili amplificati dal suo modesto calibro culturale e umano”.   “Baio – scrive ancora Provenzano – diceva di soffrire molto di perdita di considerazione tra il gruppo di riferimento, assimilava tale fatto ad una sorte di morte civile, era caduto anche in una sorta di depressione. Dopo il chiarimento la situazione si era un po’ alleggerita tra i due. Ma dopo qualche mese Baio ha ricominciato a rimuginare sull’argomento, ha incontrato Palumbo prima di Natale 2007, cercando un chiarimento. Poi, dopo tre mesi, non lo ha visto più, continuando a registrare, a suo giudizio, un allontanamento dei conoscenti che cercavano di non soffermarsi con lui, di evitare anche di salutarlo”.

 

 

Procuratore nazionale antimafia Roberti: “Messina Denaro verrà preso al più presto”

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L'identikit di Matteo Messina Denaro realizzatto dalla GdF“Sono certo che Messina Denaro verrà preso al più presto”. Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti in un’audizione sul regime carcerario speciale di 41bis alla commissione Diritti umani del Senato.. Il procuratore si è  anche soffermato su altri importanti temi.  ”Il clan del Casalesi non esiste più è stato, sconfitto dallo Stato nel suo potere militare ed economico. In 22 anni – ha aggiunto Roberti, riferendosi all’arco di tempo da cui si applica il 41bis – abbiamo fatto molto contro le mafie, assicurando alla giustizia tutti i capi, salvo uno, Matteo Messina Denaro, che sono certo verrà presto catturato. Il 41bis è stato ed è uno strumento efficace di contrasto alle mafie e non dobbiamo mai pensare che sia uno strumento per costringere i detenuti a collaborare con la giustizia. La norma ha uno scopo di prevenzione e ha impedito che il carcere fosse una proiezione del territorio e che l’organizzazione lo controllasse come controllava il territorio. Pensiamo che la nuova camorra di Cutolo si costituì in carcere. I detenuti in 41bis sono 717 e sono in carcere per lo più per l’appartenenza a organizzazioni di tipo mafioso. Ci sono tre detenuti in 41bis per terrorismo, il resto sono ristretti per mafia. Tra i tre detenuti per terrorismo c’è l’unica donna in regime di carcere duro, Nadia Desdemona Lioce, delle nuove Br. Sulle proroghe dei 41bis Roberti specifica:  ”Credo serva una linea giurisprudenziale uniforme”, auspicando “una pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione”. Il nodo essenziale riguarda la necessità, per la proroga, di dimostrare l’attualità dei collegamenti tra detenuto e organizzazione esterna. “Se il 41bis funziona – obietta Roberti – non ci sono i collegamenti; ma se vengono meno i presupposti per il 41bis, può riprendere il collegamento”. Serve quindi un più chiaro orientamento per chiarire quale sia l’elemento determinate per far scattare o per revocare la proroga (un passaggio che viene esaminato dopo i primi 4 anni di detenzione in 41bis e poi ogni due anni). Secondo Roberti è necessario che le Sezioni Unite si esprimano anche su altri aspetti, quali “le regole per i colloqui visivi, telefonici con i familiari e con i legali” per i detenuti in 41bis.

Violenza sessuale e concussione: direttore Caritas Trapani non risponde al Gip

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L’ex direttore della Caritas diocesana di Trapani, monsignor Sergio Librizzi, arrestato con le accuse di concussione e violenza sessuale pluriaggravata, si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al Gip Emanuele Cersosimo. Il sacerdote, recluso nel carcere San Giuliano di Trapani dove in mattinata si ‘e tenuto l’interrogatorio di garanzia, avrebbe genericamente negato le accuse secondo cui avrebbe costretto alcuni immigrati a prestazioni sessuali in cambio di un suo aiuto per ottenere lo status di rifugiati dalla commissione prefettizia di cui il prete è componente. “Il mio assistito appare molto provato – ha detto il difensore, Donatella Buscaino – perchè soffre al pensiero che molti fedeli soffrano per lui”. Intanto, gli inquirenti hanno sentito come persona informata sui fatti monsignor Liborio Palmeri, vicario generale della Diocesi. L’indagine condotta dai sostituti procuratori Sara Morri, Andrea Tarondo e Paolo Di Sciuva e coordinata dal procuratore capo Marcello Viola. Dopo l’arresto, la Curia ha sollevato il prelato da tutti gli incarichi pastorali.

Il Pd siciliano bloccato dallo scontro tra correnti

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Il governatore Crocetta e  il segretario regionale Pd, RacitiDi ben altro spessore culturale dovrebbe essere il dibattito nel Pd siciliano. E meno annunci e più fatti, meno “vorrei ma non posso” dovrebbero venire dal presidente Crocetta. Un’analisi attenta delle condizioni generali dell’Isola: settantatremila posti persi lo scorso anno, 160 mila dall’inizio della crisi, famiglie non più in grado di spendere o costrette a limitare i consumi; il commercio, l’edilizia e l’agricoltura a picco, imprese che chiudono, una disoccupazione al 39 per cento che colpisce i giovani soprattutto, un calo impressionante delle iscrizioni all’università (secondo i dati di Bankitalia il 28 per cento in meno rispetto a dieci anni fa). E le buone notizie che arrivano dall’incremento dell’attività turistica non bastano certamente a ridurre lo spread socio-economico di una regione senza politiche di rilancio e di miglioramento del suo complessivo tenore di vita.

Di fronte a questo quadro, fa specie lo scontro sull’adeguamento a 240 mila euro degli stipendi (ancora tra i più elevati) percepiti dai dirigenti dell’Assemblea. Crocetta avrebbe voluto fissarne il tetto a 160 mila, equiparandoli a quelli della Regione. E ha dovuto ammettere che la Sicilia è prigioniera di una “burocrazia del privilegio”, di fronte alla quale la politica siciliana si mostra impotente. Ma è impotente o finge di esserlo? È impotente o stiamo assistendo a un gioco delle parti infinito che offende la stragrande platea dei cittadini senza lavoro o che vivono, tra mille stenti, con salari di fame?

Lo stesso Governatore quando, a precisa domanda, tergiversa a lungo e poi risponde di non sapere quanto guadagna non contribuisce certo allo sforzo – di chiarezza e trasparenza – che la politica deve fare per restituire credibilità e fiducia al suo rapporto con i cittadini. Soprattutto con i cittadini che più avvertono i morsi della crisi e delle disuguaglianze e che si aspettano da chi li governa i primi esempi di rigore e di sacrifici. E tutto questo in una regione dove, oltre a non trovare lavoro, è diventato pure difficile curarsi: per il costo di medicine e servizi e per i tagli alla sanità. Il Pronto soccorso di Licata, con il suo ridotto personale e con l’astanteria giornalmente piena di degenti, è diventato l’esempio di quanto avviene negli altri ospedali della Sicilia dove non vengono assunti medici e infermieri e dove non vengono rinnovati gli incarichi a scadenza. Come ha scritto Giovanni Iacomini sul Fatto quotidiano stiamo passando dallo Stato sociale allo stato d’abbandono.

Ci si aspetterebbe dunque un salto di qualità nel dibattito pubblico. Concentrato sui problemi dei siciliani e non sugli scontri di corrente dentro il Partito democratico. Che i rapporti tra il partito e Crocetta non sono mai stati idilliaci è risaputo. Il Pd, con il suo segretario Fausto Raciti, chiede che decisioni importanti – non ultime quelle riguardanti la prossima Finanziaria e la riforma della Formazione – siano prima discusse al proprio interno e poi portate in aula. Ma il Governatore, fautore delle maggioranze variabili, non ha mai voluto condizionamenti alla sua azione di governo. E tantomeno veti. E ne è derivato – oggi come ieri – un rapporto spesso conflittuale con il partito.

È la storia di questi due anni. Poca quiete e tanta tempesta. Altro che dibattito d’alto profilo! Il caos nell’ultima riunione dei democratici siciliani ha toccato punte elevate. Tra “renziani doc” e dell’ultima ora, “cuperliani” pentiti, e vecchi maggiorenti decisi a non rinunciare al loro potere nel partito e a farlo sempre valere nei confronti del governo. E con Raciti (area Cuperlo) che ha accusato Crocetta di spaccare il Pd e che si ritrova isolato, anche dai suoi, per aver chiesto ciò che un segretario ha tutto il diritto di chiedere: il confronto tra il partito e il governo su temi delicatissimi.


Capitaneria di porto, assistenza a natante maltese in difficoltà al largo di Porto Empedocle

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La Capitaneria di Porto – Guardia Costiera di Porto Empedocle ha effettuato, a circa 2 miglia a sud ovest dal porto di Porto Empedocle un intervento a favore di un’unità da diporto a motore, di 10 metri di lunghezza battente bandiera maltese, in difficoltà a causa di una grave avaria al motore. A seguito di segnalazione la sala operativa della Capitaneria di Porto ha disposto l’immediato intervento della motovedetta CP 2093 della Guardia Costiera che ha raggiunto in pochi minuti il natante in difficoltà con a bordo quattro persone (due uomini e due donne di nazionalità maltese). L’unità è stata quindi rimorchiata verso l’approdo di Porto Empedocle, dove è giunta alle 11.00 senza ulteriori problemi.

Sempre la Capitaneria di Porto con l’ausilio dei sub del 3° Nucleo Operatori Subacquei delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera di Messina, procederà nella prima settimana di luglio alla rimozione di gavitelli, boe, corpi morti collocati abusivamente nello specchio acqueo antistante il Molo Sanità e il Molo di Levante del porto di Porto Empedocle ed eventuali natanti  ormeggiati abusivamente, che sono di intralcio e pericolo alle normali attività portuali. Infine,  la Capitaneria di Porto – Guardia Costiera di Porto Empedocle ha emanato ordinanza con cui è stato imposto il divieto di accesso e transito ai pedoni, ormeggio, navigazione ed ogni altra attività  di superficie e subacquea in prossimità del pontile galleggiante già in concessione al Comune di Agrigento all’interno del porto turistico di San Leone, banchina di Levante. Divieto che scaturisce dal fatto che il pontile galleggiante versa in stato di scarsa manutenzione tale da poter rappresentare potenziale pericolo per la tutela della pubblica incolumità e la sicurezza della navigazione ed, inoltre, il cancello di ingresso è costituito da una improvvisata ed insicura palizzata in legno, verosimilmente per impedire l’accesso dei pedoni al pontile galleggiante in disuso. Per questi motivi il Comando ha diffidato il Comune di Agrigento alla rimozione del pontile galleggiante a causa dello stato di abbandono e scarsa manutenzione in quanto rappresenta potenziale pericolo per la tutela della pubblica incolumità.

Sceicco Qatar incontra Montante (Confindustria): intesa su brand Sicilia

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Lo sceicco Ali Bin Thamer al ThaniLo sceicco del Qatar, Ali Bin Thamer al Thani, ha incontrato oggi pomeriggio, presso la sede di Confindustria Sicilia, il presidente degli industriali, Antonello Montante, il vicepresidente Nino Salerno, e un centinaio di imprenditori. Obiettivo, selezionare le aziende da invitare a Brand Italy, il salone dell’italian style che si svolgerà a Doha dal 10 al 12 novembre e che prevede oltre a incontri b2b, workshop e conferenze, la partecipazione di oltre 30 mila visitatori tra buyer, dealer, imprenditori e rappresentanti della business community del Qatar e degli atri Paesi del Medio Oriente. “L’incontro di oggi – ha detto Montante – è stato importante perché è andato oltre il Brand Italy. Con lo sceicco individueremo i settori del lusso e dell’eccellenza made in Sicily e su questi punteremo per creare opportunità di business e avviare incontri b2b, così da mettere direttamente in contatto le imprese siciliane con quelle del Qatar”. “Sono onorato di essere in Sicilia – ha sottolineato lo sceicco – sono qui per individuare opportunità di investimento nei diversi settori della produzione, dall’agroalimentare agli arredi, dalla green economy all’edilizia, dalla meccatronica all’intera filiera del turismo, e sono certo che riusciremo ad avviare un proficuo rapporto di collaborazione”. 

Stamani lo sceicco aveva incontrato il presidente dell’Ars, Ardizzone.

Agrigento, false fatturazioni e “cartiera”: i nomi degli indagati e delle società perquisite

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E’ un’inchiesta destinata a riservare clamorose sorprese quella della Procura della Repubblica di Agrigento che stamane ha disposto la perquisizione in ditte operanti in tutta Italia nonché nei confronti di 21 persone che risultano essere attualmente indagate. Perquisizioni in tutta Italia, dunque: da Catania a Trento passando per Roma, sono state disposte dalla Procura di Agrigento nell’ambito di una inchiesta sull’esistenza di un presunto sodalizio criminale finalizzato alla commissione di reati fiscali, ossia emissioni di fatture false e il loro utilizzo nelle dichiarazioni dei redditi. L’inchiesta, svolta dalla Guardia di finanza, con il coordinamento del sostituto procuratore Andrea Maggioni e dell’aggiunto Ignazio Fonzo, è partita dopo la perquisizione di un’auto, lungo la statale 640 Agrigento-Caltanissetta, dove sono stati trovati oltre 180 mila euro in contanti in un sacchetto di plastica e un contratto pubblicitario. Sono complessivamente 21 le persone iscritte nel registro degli indagati.

L’indagine permetteva di evidenziare che la impresa A.G.S. di Ferrario Anna era, in sostanza, una vera e propria “scatola vuota”, la Ferrario, peraltro, spontaneamente dichiarava che tutta la documentazione della società era detenuta dal cognato Riccardo Maruca – odierno indagato – e che il commercialista era tal Bernardino Grassi – altro odierno indagato); l’attività di perquisizione  nella sede della società Business consultant consulenze aziendali ubicata in Favara – zona industriale Asi – Centro direzionale San Benedetto, riconducibile a Vetro Antonio, consentiva il rinvenimento di documentazione contabile inerente rapporti tra la Business consultant consulenze aziendali e altra società con sede a Roma (Pps Srl).

Il 06.12.2013, alle ore 18.00, nella stazione marittima FF.Ss – imbarco e sbarchi passeggeri di Messina, la Gdf di Messina, sottoponevano ad un controllo Perniconi Marco e Tenci Alessandra, che venivano trovati in possesso di 240.500 di euro in contanti.  Oltre al denaro veniva rinvenuta una corposa documentazione fiscale e contabile che permetteva l’individuazione di alcuni  – possibili – destinatari delle fatture per operazioni inesistenti, nonché  degli intermediari delle operazioni illecite.  In particolare, i dati indicati nei documenti sequestrati evidenziavano sigle, facenti riferimento ai nominativi dei soggetti coinvolti, nonché alle società catanesi interessate al “metodo spartitorio” di questo complesso sistema criminale, accanto ai quali venivano indicati i numeri delle fatture e gli importi da assegnare ad ogni singolo soggetto, componente il “pactum Sceleris”. Queste le società individuate: Neomedical S.r.l;  Cardiovascular S.r.l.; Neomedical; Cardiovascular. Le società probabilmente “cartiere” individuate dalla Procura sono:     P.P.S. Srl con sede in Roma, esercente l’attività di ideazione campagne pubblicitarie.; Ditta individuale A.G.S. di Ferrario Anna, con sede a Tivoli (Roma), esercente l’attività di studi di promozione pubblicitaria; Ditta individuale C.M.T. di Carlomosti Tiziano, con sede a Roma, esercente l’attività di procacciatore d’affari; S.G.I.A. S.r.l. con sede in Roma esercente l’attività di sponsorizzazioni pubblicitarie; G.A.M. Srl, con sede in Roma esercente l’attività di sponsorizzazioni pubblicitarie. Queste le società individuate e che potrebbero utilizzare le false fatture:

1.             Publinova Lazio – Societa’ Cooperativa con sede legale a Roma, esercente tra l’altro attività di consulenza pubblicitaria e promozionale, il trasporto di merce alimentare e non rifiuti urbani e non ecc;

2.             Pro Race Rally Srl con sede ad Ariccia (Roma), esercente l’attività di organizzazione e partecipazione a gare di rally e vendita di spazi pubblicitari. Noleggi di strutture mobili ed attrezzature per gare sportive;

3.             Cardiovascular Srl con sede a Catania, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di materiale sanitario di consumo, di apparecchi scientifici ed attrezzature sanitarie meccaniche ed elettroniche ed elettromedicali ecc.;

4.              Neomedical Srl con sede a Catania, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di materiale sanitario di consumo, di apparecchi scientifici ed attrezzature sanitarie.

5.          Ditta individuale “La Rocca Salvatore Giuseppe”con sede in Mascali (CT), esercente l’attività di agente e rappresentante di prodotti medicali.

6.             G.P.T. Srl con sede a Pozzuoli (NA), esercente l’attività di progettazione, sviluppo, realizzazione gestione e manutenzione di hardware, software ecc..

7.             C.L.A.M.E.N. di L. La Monica Sas con sede a Napoli, esercente l’attività di agente di commercio di ricambistica, apparati motoristici e di prodotti collegati nei settori industriali e navali.

8.             D & D Costruzioni Generali Srl con sede a Pozzuoli (NA), esercente l’attività di lavori generali di costruzione edifici e lavori di ingegneria civile in genere.

9.             Caffe’ Toraldo Srl con sede a Napoli, esercente l’attività di lavorazione del caffè.

10.       River Services Srl, con sede a Fiumicino (Roma), esercente l’attività di servizi di vigilanza privata.

11.       S.P.D. Roma Srl con sede a Roma, esercente l’attività nel settore edilizio.

12.       Con. Eco. Srl con sede a Roma, esercente l’attività di smaltimento di rifiuti.

13.       Sky Ambiente Srl  con sede a Roma, esercente l’attività di smaltimento di rifiuti.

14.       U.S.G. Union Service Group Srl con sede a Roma, esercente l’attività di altre attività di servizi alle imprese N.C.A..

15.       Sartorilegno Srl con sede a Fondo (TN), esercente l’attività di produzione imballaggi in legno.

16.      Re.Ma.G. Srl con sede in Roma esercente l’attività di effettuazione di lavori di terra, murature in cemento armato demolizioni e sterri.

17.       Immobili Industriali Criss S.r.l. (con sede in Anzio esercente l’attività di acquisto, costruzione, vendita, permuta ecc. di beni immobili.

18.       Essegi Srl  con sede in Napoli avente ad oggetto sociale la produzione confezione e vendita di prodotti di abbigliamento.

19.       Pneutec Srl con sede in Napoli avente ad oggetto sociale la realizzazione di pneumatici ricostruiti.

20.       Sifer Srl con sede in Napoli avente ad oggetto sociale il commercio all’ingrosso e al dettaglio di utensileria meccanica.

21.       Carafa Giovanni & C. Snc  con sede in Pozzuoli (NA) avente ad oggetto sociale lo svolgimento in tutte le possibili forme della lavorazione in pantografatura e verniciatura su materie plastiche.

Questi i possibili intermediari individuati dalla Procura e dalla Guardia di finanza:

1)         Vetro Antonio, classe 1969 residente Favara (AG);

2)         Perniconi Marco classe 1962 di Roma e residente in Albano Laziale;

3)         Giardino Marisa, di Fondi (LT) classe 1965 e residente a Sperlonga (LT), coniuge di Perniconi Marco;

4)         Tenci Alessandra, classe 1968 di Roma; compagna di Perniconi Marco;

5)         Maruca Riccardo, classe 1967 di Roma;

6)         Grassi Bernardino di Roma classe 1956;

7)         Teofili Luigi, classe 1950 di Roma;

8)         Magnani Roberto, classe 1972 di Roma;

9)         Torrisi Antonio classe 1954 nato a Catania e residente in San Giovanni La Punta;

10)       Girlando Giancarlo, classe 1964 di Catania;

11)       La Rocca Salvatore Giuseppe, classe 1963 di Giarre e residente a Mascali;

12)       Liberati Fabrizio, classe 1971 di Roma;

13)       Ferrario Anna, di Napoli, classe 1965 e residente in Tivoli;

14)       Simone Carmelo Maria, di Agrigento, classe 1962;

15)       Cimadon Franco, di Pomezia, classe 1960;

16)       Gherardo Anna Maria, di Roma,  classe 1970;

17)       Peris Domenico, di Limbadi (VV), classe 1959 e residente a Roma;

18)       Travaglia Renato, di Trento, classe 1965 e residente a Cavadine (TN);

19)       Carlomosti Tiziano, di Roma, classe 1992;

20)       Gianfico Fabio, di Napoli, classe  1970 e residente a Giugliano in Campania (NA);

21)       Schepici Maurizio, di Messina, classe 1975 e residente in Fiumicino.

 

Porto Empedocle, ancora un processo per Giuseppe Burgio: interrogato si difende

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L’imprenditore agrigentino Giuseppe Burgio, accusato di aver utilizzato bonifici bancari falsi per coprire le spese legate alla realizzazione di un centro commerciale a Porto Empedocle nella zona di via Venezia, ha deposto stamani in Tribunale davanti al giudice monocratico Domenico Stilo. L’imprenditore si è difeso sostenendo di avere agito correttamente e che il pagamento degli oneri derivanti da concessione edilizia non è andato a buon fine per cause indipendenti dalla sua volontà. All’epoca dei fatti, ha sostenuto Burgio, amministravo una dozzina di aziende e facevamo oltre 200 bonifici al giorno. Non mi sono accorto che quello destinato a pagare gli oneri della concessione edilizia non fosse andato a buon fine. Il processo riprenderà il prossimo 20 novembre.

Poliziotto accusato di rivelazione del segreto d’ufficio: in appello condanna annullata

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In primo grado era stato condannato. In appello i giudici hanno disposto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Si è concluso così per il poliziotto agrigentino Giuseppe D’Andrea, oggi in servizio alla Questura di Catania, il processo davanti alla prima sezione della Corte di appello. L’uomo difeso dall’avv. Daniela Posante era accusato di aver rivelato dl pregiudicato licatese Angelo Zirafi, di essere sottoposto ad indagine e di essere stato monitorato con miscrospie.

Processo “Kainè trapeza”, Pm chiede 7 condanne, una assoluzione e 14 rinvio a giudizio

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Il Pubblico ministero Alessandro Macaluso al termine della sua requisitoria ha chiesto sette  condanne, un’assoluzione, quattordici rinvii a giudizio e dodici non luogo a procedere: nell’ambito del processo, udienza preliminare, scaturito dall’inchiesta “Kainè trapeza”. Trentaquattro gli indagati che ruotano attorno ad un appalto milionario che secondo la Procura (a condurre l’indagine l’aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Giacomo Forte) sarebbe stato truccato. Nella fase dell’indagine preliminare era stato chiesta ed ottenuta una misura cautelare che portò in carcere l’imprenditore Nicolò Costanza, 51 anni, legale rappresentante della società Gng srl e pose ai domiciliari Michelangelo Palumbo, 45 anni, collaboratore di Costanza, e il direttore dei lavori, Giacomo Sorce, 52 anni, funzionario del Comune di Favara. Un’altra collaboratrice di Costanza, Antonella Nobile, 35 anni, venne imposto l’obbligo di firma. Le altre persone coinvolte sono: Benito Borella, 77 anni; Carlo Borella, 51 anni; Zelinda Borella, 65 anni; Stefano Composto, 55 anni; Ignazio Puccio, 62 anni; Emanuele Infantino, 42 anni; Luigi Infantino, 37 anni; Giovanni D’Angelo, 43 anni; Giuseppe Schembri, 59 anni; Roberto La Placa, 55 anni; Alfredo Allevato, 52 anni; Filippo Iannello, 49 anni; Cristofero Bonura, 49 anni; Antonio Iacolino, 57 anni; Calogero Iacolino, 25 anni; Maria Maddalena Pagano, 40 anni; Marco Monteleone, 40 anni; Katia Sardelli, 52 anni; Giuseppe Sgarito, 45 anni; Giuseppe Bentivegna, 49 anni; Giovanni Vitello, 45 anni; Gaetano Sferlazza, 45 anni; Giuseppe Fallea, 49 anni; Paolo Di Benedetto, 50 anni; Gaetano Lo Porto, 48 anni; e Assunta Caruana, 49 anni. Queste le richieste del Pm: un anno di reclusione per Palumbo, sei mesi per Nobile, un anno e due mesi per i due Iacolino, due mesi per Vitello e quattro mesi ciascuno per Lo Porto e Caruana. Assoluzione per Sardelli. Rinvio a giudizio invece per Costanza, i tre Borella, Composto, D’Angelo, Luigi Infantino, Pagano, Monteleone, Sgarito, Bentivegna, Sorce, Puccio e Allevato. Per tutti gli altri imputati è stata chiesta l’assoluzione. . Il Gup Francesco Provenzano ha aggiornato il processo al prossimo 3 luglio.

Porto Empedocle, violenza sessuale su una ragazzina: vittima conferma accuse in aula

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Violenza sessuale su minore (archivio)Minorenne in Tribunale conferma, nel corso dell’incidente probatorio, le accuse mosse nei confronti di un uomo, 52 anni, che gestisce una palestra a Porto Empedocle, fidanzato della zia, attualmente in carcere. La ragazzina, 11 anni, è stata interrogata dal Gip del Tribunale di Agrigento, Ottavio Mosti con le cautele previste dalla legge. L’indagine è scattata sulla base delle denunce dei familiari della vittima e lo scorso 17 aprile l’uomo finì in carcere come da  richiesta del Pubblico ministero Brunella Sardoni.


Procura antimafia ricorre contro revoca 41 bis boss Orazio Paolello

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La Procura nazionale antimafia ha presentato ricorso contro la revoca del 41 bis, decisa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma, per l’ex capo della Stidda Orazio Paolello, 48 anni di Gela  Paolello, difeso dal professor Vittorio Trupiano, è detenuto da oltre 20 anni per stragi e omicidi ed era al 41 bis dal 30 gennaio del 1994. I suoi difensori, Trupiano e Domenico Marrara, avevano ottenuto la revoca del regime speciale perché, secondo i giudici, “i fatti remoti”, contenuti nei veri decreti di rinnovo del 41 bis, “disgiunti da più recenti risultanze comportamentali, non possono ritenersi idonei a provare l’ esigenza di un’ulteriore proroga, ritenendosi non dimostrata la capacità del detenuto di riprendere la posizione associativa” nella Stidda. L’udienza davanti alla Cassazione in cui si discuterà il ricorso della Procura nazionale antimafia non è ancora stata fissata Paolello, intanto comparirà il prossimo 30 settembre davanti ai giudici del Tribunale di Firenze per chiedere la detenzione domiciliare oppure il differimento della pena per grave infermità. I giudici di Sorveglianza di Roma, nel revocare il 41 bis scrivono infatti che “la carcerazione lo ha duramente provato e la relazione psichiatrica del 15 marzo del 2004 ha dato atto di un disagio psichico causato dal peso del vissuto criminale di cui sembra avvertire sensi di colpa e in cui ha dichiarato di non riconoscersi più”.Il boss stiddaro Orazio Paolello

Incendio doloso distrugge officina e sette automobili a Gela

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L’ombra del racket grava sull’incendio doloso che la scorsa notte, a Gela, ha distrutto un’officina meccanica di via Venezia, una strada a traffico intenso all’ingresso orientale della città, a 300 metri dal palazzo di giustizia. Nel rogo sono state bruciate anche cinque automobili in riparazione, custodite nel locale, e altre due che, con una moto, si trovavano parcheggiate davanti all’officina. I proprietari, i fratelli Massimo e Claudio Amarù, che abitano nei piani superiori dello stesso edificio, sono stati svegliati dalla deflagrazione conseguente all’incendio, appiccato da sconosciuti alle 4. Il repentino intervento dei vigili del fuoco non è riuscito a risparmiare nulla del contenuto dell’officina. “Anni di lavoro andati in fumo” hanno commentato i fratelli Amarù, nello sconforto. Ai carabinieri che indagano sull’episodio hanno dichiarato di non aver mai ricevuto minacce o richieste di denaro. Solidarietà ai due meccanici è stata espressa dal presidente dell’associazione antiracket di Gela, Renzo Caponetti.

Agrigento, arrestato spacciatore trovato in possesso di 125 grammi di marijuana

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Le Fiamme gialle del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Agrigento, agli ordini di Massimo Sobrà, hanno arrestato Mohammed Abdul Rauf, 27 anni, originario del Ghana, sorpreso ad Agrigento, in piazzale Rosselli, grazie anche al fiuto dei cani antidroga, “Urlo” e “Pessy”,  in possesso di una busta occultata tra gli abiti con 125 grammi circa di marijuana, un bilancino di precisione e 120 bustine di cellophane trasparenti. La sostanza stupefacente, pronta per essere ridotta in singole dosi e spacciata in città, avrebbe fruttato oltre mille euro. Il giovane che ha anche tentato la fuga verrà processato con il rito immediato per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti

Trattativa Stato-mafia: pentito, Riina disse “guerra a istituzioni e poi pace”

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Nei primi mesi del 1992, “ci fu una riunione in provincia di Enna tra Salvatore Riina e Nitto Santapaola in cui bisognava stabilire una strategia di contrasto allo Stato”. Lo ha detto deponendo nel processo per la trattativa Stato-mafia il pentito catanese Filippo Malvagna, che ha sostenuto di aver appreso questi fatti da suo zio, il boss Giuseppe Pulvirenti “u Malpassotu“. Il capomafia corleonese e il vertice di Cosa nostra catanese, nel racconto di Malvagna, durante quel summit avrebbero discusso di atti, non solo di sangue, ma anche dimostrativi e di pressione psicologica per lanciare la controffensiva della mafia contro le istituzioni. “Fu in quel contesto – ha detto Malvagna, sempre riportando confidenze di suo zio – che Riina disse a Nitto Santapaola: bisogna prima fare la guerra per poi fare la pace”. Sempre nell’incontro di Enna, secondo la ricostruzione di Malvagna, Riina disse che ogni atto doveva essere rivendicato e firmato dalla Falange Armata. “Si dovevano fare queste cose – ha proseguito il pentito- aveva detto Riina a Santapaola, per fare confusione e depistare. Fu Riina a decidere questa strategia. Io non avevo mai sentito nominare la Falange Armata”. Pulvirenti commentò: “Se lo zio Totò dice così sa quello che fa”. Secondo Malvagna la finalità primaria era “destabilizzare l’Italia, spaventare l’opinione pubblica e far perdere la faccia allo Stato”. Poco tempo dopo la strage di via D’Amelio, tra agosto e settembre del 1992, un affiliato della cosca catanese, Michele Scorciapino, disse che “c’erano delle istituzioni, dicevano dei servizi segreti, volevano avere un contatto con Pulvirenti o Santapaola. L’offerta era per Pulvirenti e Santapaola: dovevano consegnarsi ed in cambio avrebbero avuto un trattamento di favore, carcere duro alleviato e poi domiciliari”. Questa proposta – che Malvagna apprese da Salvatore Santapaola e dal boss Ercolano – fu trasferita a Palermo ma Totò Riina era diffidente.

Rispondendo alle domande dei pm Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo, l’ex boss del clan catanese dei Santapaola ha raccontato di avere fatto un incontro molto singolare in un ristorante di Palermo: “Si avvicinò il carabiniere Cosimo Bonaccorso, che era sul libro paga sia di Cosa nostra palermitana che di quella catanese, per consegnarci un biglietto”. Secondo il racconto del pentito, il militare avrebbe saputo che da lì a poco ci sarebbe stato un incontro tra la moglie di Bernardo Provenzano, Saveria Benedetta Palazzolo, e un capitano dei carabinieri, “in una località di campagna”, per l’avvio di una collaborazione informale tra il boss latitante, poi arrestato nel 2006, e i carabinieri. Sul biglietto c’era scritto il nome del capitano con il quale il boss Provenzano avrebbe dovuto iniziare una collaborazione. “Ne parlai con Angelo Romano – racconta ancora il collaboratore di giustizia – mi disse che bisognava parlarne con Giovanni Brusca”. Anche Nitto Santapaola, capomafia di Catania, sarebbe venuto a conosenza del fatto. Un punto a favore dell’accusa perchè la Procura ha sempre ipotizzato l’esistenza di un accordo tra Bernardo Provenznao e rappresentanti dell’Arma dei carabinieri. Malvagna ne aveve già parlato in un interrogatorio del 1994, subito dopo la sua collaborazione con l’autorità giudiziaria. Ma quell’interrogatorio non ebbe mai un seguito. In passato anche il collaboratore Antonino Giuffrè, considerato braccio destro del boss Provenzano, aveva parlato di un avvio di collaborazione tra Bernardo Provenzano e i carabinieri, sempre attraverso la moglie del capomafia, Saveria Palazzolo. Malvagna ripercorre i mesi drammatici della stragi. Poi spiega: “Fra la fine del 1992 e l’inizio del 1993, gli amici di Palermo fecero sapere che si sarebbe dovuto votare per Berlusconi, per un nuovo partito che stava per nascere. Dicevano che il partito di Berlusconi sarebbe stata la nostra salvezza, dicevano che nel giro di pochi anni sarebbe stato attenuato il carcere duro e sarebbe stata smantellata la legge sui collaboratori di giustizia”.

Piano Paesaggistico, Comitato delle professioni tecniche: “Non siamo degli di considerazione”

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Una veduta di AgrigentoE’ proprio il caso di dirlo: “La Provincia di Agrigento, il suo territorio, gli abitanti,  gli operatori economici, i professionisti, i nostri figli (nati e nascituri) non siamo  degni di considerazione”  Abbiamo ricevuto, giusto all’indomani dell’incontro avvenuto in assessorato con il dirigente generale ing. Giglione (il quale ha gentilmente ricevuto un documento di oltre 200 pagine riportante le incongruenze, omissioni e fallacità del piano paesaggistico della Provincia di Agrigento), copia di una lettera di convocazione indirizzata a: Presidente Ordine degli Ingegneri Provincia di Trapani, Presidente Ordine degli Architetti Provincia di Trapani, Presidente  Ordine degli Agronomi e Forestali Provincia di Trapani, Presidente Collegio dei Geometri Provincia di Trapani, Presidente Collegio dei Geologi Provincia di  Trapani, Presidente Italia Nostra, Presidente WWF sez. Sicilia, LIPU sede Nazionale, Presidente Legambiente Sicilia.  Oggetto della lettera è: Concertazione istituzionale – piano paesaggistico  Ambiti 2 e 3 – Provincia di Trapani.

“La Soprintendenza di Trapani – recita la lettera – ha predisposto la Proposta del Piano Paesaggistico ambito 2 e 3 ricadente in parte nel territorio della Provincia di Trapani.  Ai sensi dell’art. 144 del D.Lgs n 42/2004 e s.m.i., – continua la lettera – è  necessario che le elaborazioni siano oggetto di aperto e partecipato confronto con i soggetti interessati.  In tal senso si comunica che…verranno presentati gli elaborati di cui sopra ai fini della definizione della fase della Concertazione istituzionale….”

Non possiamo credere ai nostri occhi (leggendo la lettera) e soprattutto alle parole dell’amico che ce l’ha inviata. Il Soprintendente di Trapani, uomo rispettoso della legge, applica correttamente quanto disposto dall’art. 144 del Codice Urbani invitando alla concertazione i portatori d’interessi diffusi ed alla formazione di un piano che essendo di esclusiva natura vincolistica incide profondamente negli assetti economici del territorio.  E ad Agrigento e nella sua Provincia?

Nulla di tutto questo. Sarà che gli agrigentini non siamo degni di nota per avere voce in capitolo in materia tanto delicata. Non siamo considerati così culturalmente elevati per potere partecipare ad un dibattito che coinvolge il futuro del nostro territorio. Non siamo considerati così culturalmente elevati per potere partecipare ad un dibattito che coinvolge il futuro del nostro territorio, il futuro dei nostri figli e dei figli dei nostri figli. Chi, all’epoca ha avviato la redazione del piano, ha deciso in maniera autonoma e totalmente arbitraria che un passaggio, di così alta democrazia (parlo della concertazione con i portatori d’interessi diffusi), poteva essere tranquillamente omesso in spregio a quella stessa legge che tanto si vanta di fare rispettare. Chi ha redatto il piano si è arrogato il privilegio di potere decidere delle sorti economiche del nostro territorio. Chi oggi ha posto la firma su quel piano non ha compreso le ricadute che lo stesso può avere su dei cittadini inconsapevoli delle strategie che un ramo dell’amministrazione pubblica stava mettendo in atto, lasciando sulla loro pelle le conseguenze di alcune scelte dettate dalla fretta di avere un piano a tutti i costi. Un piano carente di un approfondimento culturale e conoscitivo, in fase di studio, e conseguentemente carente di proposte progettuali. Ma è mai possibile che in questa Regione, dove tanto si parla di legalità e rispetto delle regole, i cittadini debbano vedere calpestati i propri diritti, faticosamente acquisiti in oltre 65 anni di storia repubblicana. E’ mai possibile che oggi due rami di una stessa amministrazione regionale interpretino, in maniera diametralmente opposta, lo stesso articolo di legge (parliamo del Decreto Urbani, unico decreto al quale le Soprintendenze devono attenersi nello svolgimento delle loro funzioni – ndr). In Sicilia 9 pesi 9 misure?

Ma è mai possibile che i cittadini per avere riconosciuti i propri diritti devono rivolgersi alla magistratura con aggravi di spese e prolungamento dei tempi di esercizio dei propri diritti (jus aedificandi). Peraltro, la lettera del Soprintendente di Trapani, avvalora la tesi portata avanti dal comitato delle professioni tecniche: nel momento in cui i cittadini inizieranno a vincere i ricorsi amministrativi, e lo faranno perché la lettera in questione diventerà prova testimoniale di una violazione di norma, la Regione inizierà a dovere pagare i danni. Quanto danno si è fatto, quanto danno si dovrà continuare a fare? Quanto danno all’erario dovrà essere ancora prodotto? Abbiamo più volte sostenuto che questo Piano è pieno di errori, omissioni, e conseguentemente è un piano fallace sotto ogni aspetto. Cosa si può pretendere da un piano non concertato e redatto d’ufficio su basi cartografiche deficienti? Cosa si può pretendere da un piano redatto da chi non conoscendo il territorio, per evitare danni, preferisce congelarlo. Speriamo che il Governo regionale prenda coscienza di ciò e ritiri in autotutela il piano mettendo fine a questa vicenda oltremodo incresciosa per tutte le parti che vi sono coinvolte. Speriamo che si comprenda che siamo ancora nei tempi per fare un passo indietro ritornando a discutere, con tempi celeri e contingentati, un piano che tuteli il territorio producendo ricchezza attraverso le sue bellezze e le sue peculiarità senza doverle imbalsamare o museificare. O forse facciamo prima a chiedere che il Soprintendente di Trapani revochi la convocazione perché ha erroneamente interpretato l’articolo 144 del Decreto Urbani?

Germano Boccadutri, presidente Ordine degli  Agronomi della Provincia di Agrigento

Massimiliano Trapani,  presidente Ordine degli  Architetti Ppc  della Provincia di Agrigento

Calogero Pecoraro, consigliere dell’Ordine Regionale dei Geologi delegato alle problematiche  del Ppt di Agrigento

Silvio Santangelo, consigliere del Collegio dei Geometri della Provincia di Agrigento delegato alle problematiche  del Ppt di Agrigento

Domenico Armenio, presidente Ordine degli Ingegneri della Provincia di Agrigento  

Domenico Terlizzese, presidente del Collegio dei Periti Agrari della Provincia di Agrigento

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