L’ispettore superiore della Polizia di Stato Salvatore Nicastro era stato accusato dal collaboratore di giustizia Innocenzo Lo Sicco di avere contribuito sistematicamente alle attività ed agli scopi criminali dell’associazione a delinquere denominata “Cosa nostra” e per questo motivo era stato sottoposto ad indagini ad iniziativa della Procura della Repubblica di Palermo per il reato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. (concorso in associazione di tipo mafioso). Pertanto il Questore pro tempore di Palermo, considerata la gravità dei fatti, aveva chiesto che nei confronti del citato ispettore venisse disposta la sospensione cautelare dal servizio ed il capo della Polizia, in considerazione degli evidente risvolti per l’attività di servizio, aveva disposto la sospensione cautelare dal servizio dell’ispettore, con conseguente privazione della retribuzione e corresponsione in suo luogo dell’assegno alimentare. Ma l’ispettore aveva proposto un ricorso davanti al Tar del Lazio, con il patrocinio dell’avv. Girolamo Rubino, lamentando svariate forme di eccesso di potere; in particolare il difensore del ricorrente ha sostenuto che vi era dell’astio da parte del Lo Sicco nei confronti dell’ispettore a causa di alcuni danni cagionati dall’impresa del Lo Sicco all’abitazione del ricorrente che avevano comportato la reazione di quest’ultimo. Già in sede cautelare il Tar del Lazio aveva accolto la richiesta di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato; ed il Consiglio di Stato aveva respinto l’appello cautelare proposto dal Ministero dell’Interno confermando l’ordinanza di sospensione emessa nel primo grado di giudizio. Nel giudizio di merito da ultimo il Tar del Lazio, Sezione 1 ter, ha accolto il ricorso patrocinato dall’avv. Rubino, annullando il decreto del Capo della Polizia, ritenendo fondata la censura secondo cui al momento della sospensione dal servizio l’ispettore Nicastro era assoggettato ad indagini preliminari e quindi non aveva assunto la qualità di imputato e pertanto aveva errato il capo della Polizia a disporre la sospensione cautelare dal servizio dell’ispettore ritenendo la pendenza di un processo penale in realtà ancora non iniziato. Per effetto della sentenza del Tar del Lazio, resa a distanza di oltre quattordici anni dalla proposizione del ricorso, l’ispettore potrà ottenere anche l’indennizzo previsto dalla cd. legge “Pinto” per l’eccessiva durata del processo.
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Accusato da pentito, Tar riabilita ispettore di Polizia
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