Siete ancora in tempo fino a domenica per visitare il monastero delle suore Benedettine di Palma di Montechiaro.
La felice opportunità stavolta è dovuta alle sinergie e al superamento degli intoppi burocratici posti in essere dall’Archeoclub di Palma, dal prefetto di Agrigento, Diomede, dal sindaco Amato, dalla Curia vescovile e dai Beni culturali. Se volete provare ancora una volta la vertigine del barocco e immaginare il delirio mistico dei Lampedusa bisogna pazientare in “fila inglese” per qualche oretta perché tanto è l’afflusso dei ragazzi delle scuole e dei curiosi annusatori dell’”odore dei secoli” che a piene narici si respira all’interno di una struttura dove Chiesa e monastero sono un tutt’uno per piccoli e grandi capolavori. Provenzani, la bottega di Filippo Randazzo, l’irripetibile grandezza delle maestranze siciliane, Ottavio Volante e ignoti pittori vanno a comporre una enorme pinacoteca ai tempi dell’antenato del Gattopardo e di sua figlia, l’agrigentina beata suor Crocifissa. Un tempo quello (l’inaugurazione del monastero avvenne nel 1659) durante il quale non si spegneva ancora l’eco dei Borgia e degli ultimi orrori della Inquisizione di cui rimase vittima la stessa suor Crocifissa indagata per le sue crisi mistiche e le sue estasi (una delle quali durata 49 ore) che insospettirono le gerarchie ecclesiastiche.
Oggi si può visitare la stanzetta della Beata, il minuscolo giaciglio, uno scrittoio, le scarpe, qualche indumento in vetrina, la “lettera del diavolo” e il cilicio. Il un’altra stanza attigua riposano in una grande urna dorata le sue spoglie mortali e sul davanzale di una grata-finestra fa bella mostra di se la grossa pietra che, secondo le storie, il diavolo le lanciò contro. All’incanto dei soffitti lignei, della trama delle figure lignee scolpite, ai pavimenti di ceramica, ai paliotti ricamati con fili d’oro e altri con fili policromi e grani di corallo, fanno da controcanto atrocissimi Crocifissi di legno tarlato e squamato, quasi una decomposizione e corruzione della carne. L’invasione della dolcezza ti sorprende solo all’uscita quando, oltrepassando uno splendido giardinetto interno con l’effigie di san Benedetto, ti ritrovi dinanzi a un tavolinetto dove ben ordinati sono in mostra i famosi dolcetti monacali, prodotti di antiche ricette che si fanno risalire al periodo arabo e poi perfezionati nell’”ora et labora” delle clausure.
La visita che dura 30 minuti non consente al visitatore di chiedere se ci sia ancora suor Nazarena specialista in “marturana, biscotti ricci, bocconetti, pasta reale, agnelli pasquali, buccellati, ciambelloni, mastazzoli, paste nuove, cuori di pasta reale e minni di virgini”. Da quest’ultima prelibatezza lo scrittore sambucese Alfonso Di Giovanna ne trasse una gustosa (manco a dirlo) e intrigante novella nella raccolta “Per modo di dire”. Il momento clou di questa due giorni di festeggiamenti si avrà domenica alle 12 a Palazzo degli Scolopi in Consiglio comunale quando sarà attribuita la cittadinanza onoraria a Isabella e Cesare Crescimanno di Capodarso, ultimi eredi dei Tomasi, di don Fabrizio, di Chiarina Guccia Tomasi di Lampedusa e Palma. In sottofondo la musica da camera a cura della scuola media a indirizzo musicale “Tomasi di Lampedusa”.