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Togliatti il Migliore senza eredi

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TogliattiErano i giorni delle sue agognate vacanze in montagna. E non voleva rinunciarvi. Non voleva partire per Mosca, anche perché non stava bene. Si sentiva affaticato, indebolito. “Ma i compagni vogliono che vada” disse a Rossana Rossanda il giorno prima della partenza. “I compagni vogliono che vada”. Molti dei suoi più stretti collaboratori smentirono poi la testimonianza della Rossanda. Nessuno voleva avere colpe per la morte del Capo. Il tempo non era bello nel cielo dell’Europa in quell’agosto di cinquant’anni fa, di pioggia e forte vento. E fu un brutto viaggio per Palmiro Togliatti – e per Nilde Jotti e Marisa Malagoli che l’accompagnavano. Pietro Citati, che gli ha dedicato un apprezzabile saggio, dice che per lui contava solo la storia, il nostro posto nella storia. Contava la forza e l’organizzazione, i principali ingredienti del realismo politico. Ed era impressionante, dice Citati, come fino alla metà degli anni Cinquanta, tutti – dai suoi allievi ai professori universitari – in Italia cercassero di imitarne il linguaggio, i modi, la serietà.

Ma cosa aveva di così urgente da fare a Mosca il segretario del Pci? Voleva scongiurare a tutti i costi la rottura dell’Urss con i cinesi. Voleva discuterne con Kruscev e provare a dissuaderlo. La sua posizione politica sulla questione cinese e sul comunismo internazionale era chiara e sarà esposta nel Memoriale di Yalta. Un testamento – scrive Giorgio Bocca – all’altezza di tutta la vita di Palmiro Togliatti. I suoi rapporti con Kruscev erano pessimi: lo riteneva inadeguato a dirigere il movimento, lo sviluppo della sua democrazia. Ma meglio lui – pensava – di un altro ancora più duro. Al leader italiano premeva far capire a tutti in quel momento che bisognava sfruttare la crisi della vecchia Nato, indebolita politicamente dalle posizioni di De Gaulle. E quindi discutere sì, ma dividersi mai. La rottura con la Cina non doveva essere totale. Sapeva che Suslov voleva far fuori Kruscev e corse a Mosca per aiutarlo pur non amandolo. Ma Kruscev non capì la sottigliezza di Togliatti e non si fece trovare all’appuntamento. In pratica, si rifiutò di riceverlo. Gli fece dire che era dovuto partire. Togliatti ne attese amareggiato il ritorno trascorrendo qualche giorno  nell’ex villa di Alessandro III a Yalta, dove scrive il famoso promemoria indirizzato a Kruscev e che forse non era destinato alla pubblicazione. Poi cominciò a sentirsi male davvero. Era pallido e non si reggeva in piedi. Viene colpito da un’emorragia cerebrale e muore il 21 agosto del 1964, dopo essere stato inutilmente operato. I dirigenti sovietici gli sono accanto. C’è anche Kruscev che qualche giorno prima non si era fatto trovare e che ora dice a Longo, Natta e Lama, i compagni giunti dall’Italia: “L’ho conosciuto quando ero segretario del comitato cittadino di Mosca. Che resta di quegli anni favolosi?”.

Lui era Il Migliore. Non dettava e imponeva solo la linea politica. Voleva imporre anche la linea culturale. Quali autori e libri leggere, quali scartare. Famosa la sua polemica con Vittorini sul ruolo della cultura e del suo rapporto con la politica. Ma preziose (nel ricordo) le quattro righe scritte ad Antonello Trombadori dopo aver visto Il Gattopardo a Torino: “Una grande opera d’arte. Ti prego, se hai occasione di vedere Visconti, di esprimergli la mia ammirazione e il plauso incondizionato. Ma dì  anche a Visconti, se vuoi, che non accetti la richiesta di far tagli. Soprattutto non accetti di tagliare niente del ballo, dove l’opera d’arte culmina, anche perché raggiunge quel carattere ossessivo, non so se sia ben detto, che è solo delle grandi creazioni artistiche. Ciao, Togliatti”.

Sì, era il Migliore. Non per nulla lo ritenevano tale. Ma di altrettanti Migliori, come eredi, ne ha lasciati pochi. Qualcuno, forse.


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